Chiamo il nostro mondo Zemanlandia, non perchè sia così che lo chiama lui, ma per rendere più chiara la sua natura a voi, o utopisti beati, che avete la fortuna di abitare nell’Ideale.
Immaginate un prato verde su cui delle linee Rette, dei Triangoli, dei Quadrati, dei Pentagoni e delle sfere di cuoio, invece di star ferme al loro posto, si muovono qua e là, liberamente, 4, 3 e 3 volte! 4, 3 e 3 volte! 4, 3 e 3 volte! Sulla superficie o dentro i vostri cuori ma senza potersene andare nè lasciare che voi ve ne immergiate nell’anonimato come delle ombre, insomma – una formula consistente, però, e dai contorni luminosi. Così facendo avrete un’idea abbastanza corretta del suo schema e dei suoi giocatori.
Ahimé, ancora qualche anno fa avrei detto: “del suo campionato”, ma ora la mia mente si è aperta a una più alta visione delle cose.
In un paese simile, ve ne sarete già resi conto, è impossibile che possa darsi alcunché di quel che voi chiamate “pulito”.
Può darsi però che crediate che a noi sia impossibile distinguere a prima vista i Molli, i Corrotti, i Gassosi, i Retti, i Quadrati e le altre figure che si muovono come ho spiegato. Al contrario noi siamo in grado di vedere tutto ciò perché niente è visibile per noi, né può esserlo tranne che i Retti e le loro anime.
Liberamente tratto da Flatlandia di Edwin A. Abbott
“A cinquant’anni ognuno ha la faccia che si merita”, diceva George Orwell. Zdeněk Zeman di anni ne ha sessantacinque. Sul suo volto la ricerca dell’Ideale ha scavato solchi, angoli, spigoli intorno a uno sguardo scomodo e gentile che sembra scolpito lì per caso. Appena sotto, da un pugnale a forma di bocca, scivolano fuori pensieri che pesano piombo ma che hanno comunque il coraggio di lanciarsi nel vuoto e per questo qualche istante prima di schiantarsi, volano.