Il Prigioniero numero 13. Tradimenti della lingua e del silenzio nelle prigioni siriane
Faraj Bayrakdar scrittore siriano classe 1951 viene arrestato a partire dalla fine degli anni 70′ per ben tre volte. La prima volta per opera della Sicurezza Aeronautica, nel 1978, a causa della pubblicazione di una rivista letteraria insieme a giovani scrittori all’università di Damasco. La seconda per mano dei Servizi Segreti della Sicurezza di Stato, il giorno dopo essere stato rilasciato dalla Sicurezza Aeronautica, per la appartenenza al “Gruppo d’Azione Comunista”.
La terza “grazie” alla Sicurezza Militare, il 13 marzo 1987, sempre per la sua militanza politica.
Quattordici anni trascorsi fra la prigione militare di Saidnaya e il carcere del deserto di Palmira.
Quattordici anni scritti non con l’inchiostro ma con il sangue sacro con cui si scrivono le leggi della dittatura e la ferocia degli apparati di regime.
Quattordici anni e uno stormo colorato di parole che non trovano più il loro spazio nel passato e precipitano colme di abbracci per le vittime delle dittature del presente e del futuro.
Note di Regia
Un viaggio oltre la morte e ritorno stretti nell’abbraccio sottile della narrazione. La documentazione poetica di un rapporto con un’esperienza drammatica capace di donare immagini a vicende che non ne hanno.
Sono le immagine narrate a donare una loro etica alla narrazione. Le intenzioni come le immagine hanno dei codici propri che scaturiscono direttamente dalla scrittura e dal ricordo di un’esperienza drammatica: il teatro si piega a rappresentare proprio quelle “tappe e momenti di un viaggio cieco”.
Come si può descrivere un’esperienza di prigionia? Attraverso la poesia, la quale come una macchina da presa è sempre in spalla. Niente altro.
Fuori, nella superficie, gli spettatori vivevano nella finzione. Sul palco un sopravvissuto, osserva cercando di far vivere il silenzio che sostiene ogni singola parola. L’attore si cala in una situazione estranea, si muove in modo sequenziale, meccanico, concentrandosi sul qui e ora nella sua drammaticità. La domanda è: la violenza si può rappresentare? Sì, la violenza si può rappresentare quando non é solo soggettiva, quando diventa lucida esperienza attraverso cui svelare l’oggettività di un sistema strutturalmente violento e disumano come quello totalitario.
Liberamente tratto dal libro “Il Prigioniero numero 13” di Faraj Bayrakdar. La mia alienazione nelle prigioni dei Servizi Segreti siriani (per info clicca qui).
Regia di Giulio Valentini
con Giulio Valentini
Musiche di Antonio Novaes
Scheda tecnica
: impianto fonico con mixer per collegamento a mac, 2 casse.
LUCI: 4 fari pc 1000 watt, una luce stroboscopia, 3 candele
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Durata: 60 Minuti.
Andato in scena:
– Teatro della Cooperativa, via Hermada 10 – Milano
– Teatro Studio Frigia Cinque, via Frigia 5 – Milano (tre repliche)
– Festival della Letteratura di Milano, La Fornace, alzaia Naviglio Pavese 16 – Milano
– Macao, Viale Molise 68 – Milano
– Castello Visconteo – Binasco (con il Patrocinio del Comune di Binasco e di Amnesty International Binasco)
– Teatro Santuccio, via Sacco 10 – Varese
– Auditorium Aldo Moro – Saronno (con il Patrocinio di Amnesty International Saronno)
Nell’organizzazione di appuntamenti teatrali finalizzati a raccontare e denunciare la situazione siriana odierna, mi sono occupato di coordinare un gruppo di cittadini nella realizzazione dello spettacolo: “La Scintilla di Daraa”.
LA SCINTILLA DI DARAA
“La Scintilla di Daraa”, è un racconto teatralizzato di un gruppo di cittadini siriani, i quali in arabo con una voce narrante in lingua italiana, ricordano la tragedia che ha dato origine alla rivoluzione siriana.
Sulla scena 15 cittadini siriani raccontano una vicenda di morte, silenzi, e reazioni spontanee mescolando i loro vissuti e ricordi personali con cronache e testimonianze di un giorno come tanti che ha cambiato la storia.
Un atto di memoria che è anche un atto di denuncia dopo quaranta anni di feroce repressione, maltrattamenti ed azzeramento totale della libertà di stampa, di parola e di opinione da parte del regime dittatoriale siriano.
La storia di un paese è soprattutto ciò che i suoi abitanti ricordano. E al centro del racconto è il ricordo di un giorno come tanti, quando alcuni ragazzini delle scuole primarie di Daraa, forse per gioco cominciarono a scrivere sui muri della loro classe: “IL POPOLO VUOLE LA CADUTA DEL REGIME!”, evento che causò il loro arresto e la loro tortura da parte dei servizi segreti.
I familiari di questi ragazzini reagirono rivolgendosi al capo dei servizi segreti di Daraa, chiedendo la restituzione dei loro figli ma ricevettero come risposta l’esortazione a dimenticare i propri figli, a farne degli altri o a concedere le loro mogli ai militari affinchè ci pensassero loro a far eseguire l’ordine…
Da quel momento, la volontà di giustizia e di difesa del diritto alla vita ed alla dignità, condusse i cittadini siriani a non fermarsi continuando a manifestare pacificamente anche a costo della vita, espandendosi da città a città a macchia d’olio, in contrasto con il Regime e le sue repressioni.
Un Regime violento, capace di utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione per reprimere le manifestazioni pacifiche e uccidere i civili.
Nello spettacolo “La Scintilla di Daraa” non troverete nessun costume, nessuna posa, nessuna scenografia: solo occhi, voci, parole, immagini da una semplice scuola in una città siriana di frontiera che un giorno divenne il centro di una Rivoluzione.