Cammino. Ballo. Mi sposto. Osservo.
Da qualche mese, una nuova pseudoparanoia si è insediata nel mio cervello, tra l’ipotalamo e il basso emisfero destro, togliendo spazio alle tre o quattro molecole ancora funzionanti impegnate a giocare a trivial pursuit, come di consueto. Non sono certo, ora che ci penso, che si tratti di una paranoia vera o propria.

La potrei definire una piccola ossessione, un pensiero ricorrente, una semplice sensazione ma dovendo fornire una descrizione accurata quasi quasi userei una situazione nella quale ahimè più volte ho avuto il “piacere” di imbattermi.

Forse userò il computer. Perché non una bella presentazione in Powerpoint? Certo, certo può andare. Comincio a scrivere come se le parole contribuissero a evocare delle immagini. Come se le parole fossero in grado di attivare istantaneamente filmatini in media player su alcune mie abitudini ritualizzate e sempre limpide nella memoria.

Slide 1: Preparazione dell’evento.
Doccia tiepida, non ho acceso in tempo il boiler. Accappatoio. Lavaggio denti: perché sono sempre troppo gialli! Gli attori e i cantanti hanno i denti bianchi, bianchi. Porca puttana domani vado dal dentista.
Specchio.
Organizzazione capelli (in questa slide li ho ancora): pettine, phon e gelatina. Lavaggio mani. Lavaggio orecchie. Un cotton fioc, due orecchie. Faccio economia.
Specchio.
Controllo del fisico. Muscoli flosci. Cinquanta flessioni. Faccio le prime quindici. Mi fermo, il resto domani.
Specchio.
Mi vesto. Come mi vesto? Casual. Elegante ma non troppo. Alternativo. Alternativo ma non troppo. Jeans. Clark nere. Sotto è fatto.
Camicia bianca? Camicia nera? Camicia grigia tibetan style. L’ho presa in Nepal e ho detto tutto: colletto alla coreana, bottoncini a punta che scendono dallo sterno al fianco seguendo una sinuosa chiusura laterale. Geniale! Giacca nera di velluto. Perfetto. Esco. Chiudo la porta. Ho dimenticato le sigarette. Rientro.
Specchio.
Ultima analisi. Perfetto, spero. Mi lavo i denti.

Slide 2: Arrivo e proseguimento in discoteca.
Entro in disco. Venti euro. No problem! Passo davanti a guardaroba e guardafiche. Mi tolgo la giacca. Cinque euro per una stampella custodita. Mi rimetto la giacca. Entro nella prima saletta. Musica underground. Cinquanta gradi. Ci ripenso. Idea. Mi lasciano il timbro per uscire dalla disco. Freddo. Un chilometro per tornare alla macchina. Saluto la giacca. Freddo. Entro. Cinquanta gradi, ora sono pronto! Fiche, fiche ovunque. Corro al bancone. Prima consumatio, è gratis. Negroni. Due chiacchiere con la barista. Fica.
Seconda consumatio. Dieci euro. Gin Tonic. Vado in pista. Ballo. Sigaretta. Questa è per Sirchia. Energumeno buttaforato a vista. Butto sigaretta. Una nuvola di fumo nicotinato mi avvolge. Sorrido. Sorride. Sorrido perché c’è più nebbia nel suo cervello che sul monte Fumaiolo. Sorride perché pensa di avermi sgamato. Se ne va. Raccolgo sigaretta. Vado al bagno e me la fumo in memoria della sua intelligenza perduta.
Terza consumatio. Dieci Euro. Rum e Coca. Mi serve il barista. Stronzo. Mai abbassare gradazione alcolica. Rido tra me e me… e me. Sono in fase andante. Barzotto, si dice.
Fiche, fiche dappertutto. Mi salutano il Panna e Breccione. Alla fine sono venuti. Mi raccontano di essere riusciti a fuggire con un espediente dal compleanno del ragazzo di Silvia, ex del Panna e cugina di Breccione. Mi raccontano l’espediente ridendo. Non capisco nulla. È ufficiale sono ubriaco. È ufficiale, loro sono più ubriachi di me. Faccio finta di ridere, tanto domani non ci ricorderemo più nulla.
Apro la caccia.
Cammino. Ballo. Mi sposto. Osservo.
Cammino. Ballo. Mi sposto. Osservo.
Cammino. Ballo. Mi sposto. Osservo.
Bionda in mezzo alla pista. Carina ma ha il ragazzo. Mora capelli corti con amica, da approfondire. Seguo bionda al bancone con tridente shivaista tatuato su fantasmagorica tetta destra, la sinistra segue la scena. Attacco: «Sei la più bella cosa che ho visto questa sera!». Ride. «Tu sei la più buffa» mi dice un tipo che era girato di spalle mostrando i denti. Alzo i tacchi.
Torno dalla mora capelli corti. È molto carina. Impiego un’ora per decidere di fare il salto. Attacco: «Sei la più bella cosa che ho visto questa sera!».
Ride.
Parliamo.
Come ti chiami? Mi chiamo.
Che lavoro fai? Lavoro.
Bello questo locale eh? Bello.
Parziale: tre domande io, zero lei. Non le interesso. Alzo i tacchi.
Cammino. Ballo. Mi sposto. Osservo.
Cammino. Ballo. Mi sposto. Osservo.
Cammino. Ballo. Mi sposto. Osservo.
Mi siedo. Sono le tre e venti.

Slide 3: Sunto, commiato e saluti.
Vado al bagno. Piscio. Bilancio serata. Al passivo: cinquanta euro tra benzina, entrata e consumazioni, ennesima stoccata a polmoni e fegato, non uno straccio di conquista femminile. Attivo: meglio soprassedere. Bilancio vita: donna assente, amore assente, lavoro gratificante assente, denaro assente, successo assente, felicità assente. Gordon Comstock direbbe con orgoglio misto a disperazione: «L’unica strada è il fallimento!». Io dico: «Appena esco da qui mi impicco al primo palo che incontro!».
Esagerato. Sbronza pessimista. Soprassedere!
Esco dal bagno. Revival anni Settanta. Meno corpi, gli spazi si allargano. Contropiede. Ecco, siamo finalmente giunto all’epicentro della paranoia. Fumo. Meno corpi, gli spazi si allargano. Non possono tornare a casa senza almeno avere scambiato qualche battuta con una bella donzella. Sono le quattro e venti e gli spazi si allargano. Ho trenta anni e gli spazi si restringono. Non voglio diventare vecchio.
Che faccio se non trovo la donna della mia vita?
Che faccio se fallisco e mi riduco a fare lo scaricatore di porto?
Sono le quattro e cinquanta e gli spazi si allargano.
Ho trenta anni e gli spazi si restringono.
Mi sento alla fine della festa. Domani sarò vecchio, avrò due figli che porterò al lago la domenica, una moglie con la voce stridula e le mèches, una suocera al piano superiore, un cognato con cui andare a giocare a calcetto.
Non voglio che la festa finisca. Non voglio diventare vecchio.
Vado al bar.
Quarta consumatio: birra rossa. Abbasso gradazione alcolica. Errore. Di corsa fuori dalla disco.
Vomito.
Alzo la testa. Giacchino bianco, labbra rosse. Ride. Si chiama Pamela. È fuori da un’ora.
Parliamo.
Parliamo.
Non parliamo poi tanto.
Labbra rosse sale in macchina, la mia macchina.
Alla prima curva da buoni compagni di vomito scendiamo di corsa.
Per fortuna non abito lontano.
Non trovo le chiavi, mi cadono in terra. Entriamo.
Le offro un goccio di assenzio ceko per fare bella figura.
La bacio trascinandola in camera da letto. Le strappo i vestiti. Quanto sono ubriaco rendo di più a letto. La faccio mia. Missione compiuta. Ora sono soddisfatto.
Crollo.
Qualche ora e la sveglia mi desta alle otto in punto.
Come al solito mi dimentico di disattivarla il fine settimana.
Ohibò! Qualcuno è sotto le mie coperte.
Mi volto lentamente su un fianco.
Cerco con la mano destra di scostare le lenzuola.
Otto e zero cinque: la vedo.
Meglio soprassedere.
Mi rimetto a dormire.
Buonanotte.
Fine della storia.

(Brano tratto da una vecchia edizione di Supplizi, Supplì e Metempsicosi, di prossima ripubblicazione a partire dal 23 aprile 2323)