Era un pomeriggio invernale di qualche anno fa quando iniziai a leggere “In Asia” di Tiziano Terzani.
Leggevo, leggevo, leggevo e rileggevo pesando quasi ogni pagina letta o meglio sentendo il peso di ogni pagina letta dentro di me come qualcosa che si aggiunge all’anima mentre conosci attraverso quelle parole.
Qualcosa di prossimo e contiguo, così bel descritto e raccontato che quasi lo riesci a vedere davanti a te.
Qualcosa di cui stai facendo esperienza che incontri lì, dietro una pagina come dietro un angolo di una città. Qualcosa che incontri e ti rende immediatamente migliore.
Arrivo alla pagina appunto dove Terzani, parlando dello Shintoismo “la religione primordiale dei giapponesi”, osserva come sull’altare principale dei templi shinto, nel tabernacolo, non ci sia un’immagine di un dio, di un simbolo o un libro sacro, ma semplicemente uno specchio.
Uno specchio, come se davvero il Dio fossero i giapponesi stessi che vi si riflettono.
Uno specchio, come se davvero il Dio fossero gli uomini stessi che vi si riflettono, penso io.
Durante il mio primo viaggio in Giappone a Tokyo, cerco il tempio con lo specchio e lo specchio nel tempio in tutta la città. Parto da Asakusa e mi infilo dappertutto invano. Spesso sembra intravedersi dietro una transenna ma molti templi Giapponesi sono protetti nella parte più sacra e così ad un certo punto desisto.
Passano due anni, arrivo a Kyoto e quasi non pensavo più a quello specchio. Primo giorno e vengo inviato da una danzatrice di Teatro del Noh al Kibune Shrine Festival . Prendo tutta la Metro verde di Kyoto, scendo a Kuramaguchi, esco dalla metro e mi trovo in pieno bosco.
Pieno bosco con solo una strada in mezzo. Attraverso il bosco. Salgo delle scale. Un piccolo tempio davanti a me. Entro e…eccolo lì, lo specchio al centro della scena come se stesse aspettando me. Non è possibile avvicinarsi all’altare, non mi posso specchiare ma non importa. Ciò che importa è averlo trovato o aver permesso che lui trovasse me.
Mi viene in mente Amaterasu, la dea del Sole. Secondo il Kojiki “Memorie degli eventi antichi”, in seguito ad una discussione con il fratello Susanoo, dio della tempesta, questi distrusse gli argini delle risaie piantate da Amaterasu e ne ostruì i fossati. Amaterasu, amareggiata, per reazione si ritirarò nella caverna Ama-no-Iwato, facendo così precipitare il mondo nell’oscurità.
Le altre divinità venute a sapere dell’evento infausto iniziarono subito a pregarla di uscire fuori, ma non ebbero successo. Trascorse qualche giorno, o meglio qualche notte perchè l’oscurità si era diradata e poi la dea Ama-no-Uzume pensò di appendere uno specchio ad un albero davanti a quella caverna, organizzare una festa e di esibirsi in una danza erotica.
Fu un successo. Suscitato il riso degli altri dèi, Amaterasu si incuriosì e uscì fuori a sbirciare.
Di seguito vedere il proprio riflesso nello specchio la stupì talmente che gli altri dei riuscirono a tirarla fuori dalla caverna e a convincerla a ritornare in cielo.
Guardo quello specchio da lontano. Vorrei avvicinarmi per vedermi riflesso, vedere riflessa la mia parte di divinità o magari la dea Amaterasu o anche la danza erotica della dèa Ama-no-Uzume… Mi guardo intorno per capire se possibile, senza essere visto, raggiungere in tabernacolo e mettere un piede dove non può essere messo.
Ma poi fermo e penso che è giusto così perchè il mio specchio è il viaggio.
Il viaggio… un viaggio è sempre uno specchio. Un grande viaggiatore Marco Polo, scriveva ne il Milione a proposito del Giappone: “Zipangu è una isola in levante, ch’è ne l’alto mare 1.500 miglia”. E poi parlando del viaggio aggiungeva: “Io credo che era volontà di Dio che dovessimo tornare indietro dal nostro viaggio, in modo che gli uomini potessero conoscere le cose che sono nel mondo…”
Come degli specchi divini pronti a riflettere tutto quello che gli si è posto davanti.