così mi piace definire la personalità, lo stile e la scrittura di Efraim Medina Reyes.
Come un fiume esiste nello stesso momento nel suo nascere alla sorgente, nel medio del suo corso e nel suo perdersi nel mare attraverso la foce, così in ogni pagina, descrizione, parola, maledizione, gesto, imprecazione di Efraim Medina Reyes, si può percepire la densità della sua esperienza esistenziale.
Lo si sente saltare fuori da una pancia in un barrio di qualche “città immobile” della Colombia, lo si vede “nascondere emozioni, fingere cortesia, frenare gli impulsi”, “inventare pareti per cambiarsi d’abito”, scoprire l’amore per poi ucciderlo e con esso la sessualità della Pantera Rosa, Batman, Robin e le loro tecniche di masturbazione, “spegnersi poco a poco come un lento tramonto autunnale”, per poi rinascere e mettersi a nudo come in una delle sue foto di copertina.
Tutto questo è Efraim Medina Reyes e con esso tutti coloro che hanno “un’anima in prestito, larga di torace e stretta di mandibola”.
P.S. Nella foto, tratta dalla serata conclusiva del Festival letterario Janus Liber, ho l’onore di leggere l’incipit di “C’era una volta l’amore ma ho dovuto ammazzarlo” accanto a Efraim che tra l’altro mi fa anche il favore di tenere il microfono considerata la mia notoria incapacità di fare più di una cosa (bene) alla volta.